Caterina Savelli


Caterina nacque a Sezze il 28 febbraio del 1628, da Giovanni Battista Savelli e Nobilia Colonnelli, persone fortemente religiose, tanto che il padre, avvocato, esercitando il più delle volte gratuitamente la sua professione, si vide ridotto ben presto in disagi economici, a danno del patrimonio familiare. La vita di Caterina non fu segnata da fatti eclatanti, cosa che sembrò creare qualche difficoltà al suo biografo, il gesuita p. Giovanni Battista Memmi. Giustificandosi egli di come, dopo aver narrato alcuni eventi della fanciullezza di Caterina, passi subito a magnificarne le virtù, «senza additarne que’ gradi, per i quali appoco appoco ella vi s’incamminò, e fece progressi», confessò onestamente: «noi non abbiamo la serie cronologica de’ tempi, a ciò necessaria». Poi continua: «Aggiungasi a tutto ciò, che ella fu una povera Vergine, la qual visse umile, e nascosta, senza essere adoperata in quegli affari speciosi, che sogliono dar materia agli scrittori d’un filato, e successivo ragionamento, come sarebbero fondazioni di Monasteri, viaggi intrapresi, o forme intentate, e condotte a fine, o cose simiglianti, che colla loro varietà danno non picciolo risalto alle storie». Fu un’esistenza, però, quella di Caterina, che fin dal suo sorgere fu segnata dalla sofferenza: durante il parto insorsero complicazioni, così che si temette per la vita della madre, ciò che alla fine comportò gravi conseguenze per la bambina; le donne che assistevano Nobilia, infatti, prodigando alla partoriente tutte le loro attenzioni, lasciarono la bambina sul pavimento, in un angolo della stanza, e il rigore della stagione invernale rischiò di farla morire assiderata. Un’inserviente dell’ospedale, che era sopraggiunta anch’essa forse per dar soccorso a Nobilia, si avvide della situazione e, conscia del rischio che la bambina correva, le amministrò all’istante il battesimo. Caterina riuscì a sopravvivere ma, persistendo il debole stato di salute della madre, non si riusciva a trovare chi potesse allattarla; alla fine, si prese cura di lei quella stessa donna che l’aveva battezzata. Oltre a ciò, nei suoi primissimi anni di età, fu affetta da idropisia. A sette anni, quando cominciò a confessarsi, entrò in rapporto con i Gesuiti, che a quel tempo avevano a Sezze un fiorente collegio e officiavano la chiesa dei S.S. Pietro e Paolo: sotto la guida del p. Bernardino Vittori, a dieci anni ricevette per la prima volta l’Eucaristia, il 17 gennaio 1638. Non molto tempo dopo morì suo padre, lasciando la famiglia in difficili condizioni economiche; il p. Stefano Vannotti, allora, succeduto al p. Vittori, decise di aiutare Nobilia inviando Caterina in casa di una donna di Sezze che accoglieva e manteneva a sue spese fanciulle desiderose di porsi al servizio di Dio. Caterina rimase per un anno in quella casa, e più tardi - e più volte - definirà quel tempo come il suo noviziato. Aspirando poi alla vita monastica, voleva recarsi a Roma presso un monastero di Cappuccine, le quali si erano dichiarate disposte ad accoglierla; una malattia sopraggiunse però ad indicarle che era volontà di Dio che essa dovesse restare nel secolo. Rimase così a Sezze, nella sua casa, organizzando il pro¬prio tempo secondo un suo programma, in modo che le giornate fossero scandite da una regola precisa: «distribuì le sue occupazioni in tal maniera - scrive il suo biografo - che tutta la mattinata fusse libera per Iddio e per l’anima, il dopo desinare per i propri lavori e per attendere in qualche maniera al bene spirituale de’ prossimi». Caterina Savelli si dedicò con grande carità all’assistenza degli infermi, manifestò una costante attenzione ai poveri, ma soprattutto fu preoccupata della salvezza delle anime. Ben presto se ne sparse la fama e accorrevano a lei persone da tutto il territorio delle odierne province di Latina e Frosinone e dal territorio romano, soprattutto per consigli: infatti, secondo la deposizione del gesuita p. Giovanni Battista Mavillo, «mostrava la serva di Dio una prudenza tanto grande nel parlare quanto nell’operare, e particolarmente nel discernimento degli spiriti». In tal modo divenne punto di riferimento per tante ragazze che ricorrevano a lei per una guida spirituale. Si decise allora a fondare un oratorio dove istruirle nella vita interiore: fu dunque una vera e propria maestra di spirito, fondata sulla spiritualità ignaziana, di cui era stata penetrata sin da fanciulla, nel quotidiano contatto con i Gesuiti di Sezze. In sintonia con quel filone spirituale, Caterina, pur avendo ricevuto doni mistici non comuni, insisteva piuttosto sulle virtù sode da coltivare che non sulle estasi e visioni da chiedere al Signore: «chiedete piuttosto la morte che i ratti e le visioni», ripeteva spesso alle ragazze quando le udiva parlare di tali cose. Al pari del voto di verginità, professato fin da fanciulla, Caterina promise nelle mani del suo padre spirituale povertà e obbedienza, impegnandosi poi ad una clausura nel territorio di Sezze, da cui non uscì mai se non in rare occasioni. Ancor giovane ricevette il dono delle stimmate, cosa che fu da parecchi contestata ma sulla cui realtà deposero giurando molti testimoni: secondo la testimonianza scritta del p. Giovanni Frilli, che fu suo confessore, il fatto avvenne nel 1659, presso la chiesa dei S.S. Pietro e Paolo, durante l’esposizione del santissimo Sacramento. Nel corso di un rapimento mistico, leggiamo nella biografia, Caterina «vide spiccarsi dalla sagra Ostia cinque acuti raggi, i quali andando ad investirla ciascuno respettivamente nelle mani, ne’ piedi e nel costato, udì dirsi da Gesù queste, o simiglianti parole: Caterina, ecco che io ti partecipo un poco de’ miei dolori». Il 22 luglio del 1691 si chiudeva la sua operosa giornata terrena e fu tale il concorso di popolo che le sue spoglie furono trasferite di notte, per timore della gente che voleva sottrarre ad ogni costo qualche reliquia: il corpo fu deposto vicino all’altare di S. Caterina, nella chiesa di S. Anna, che lei stessa aveva fatto edificare in atto di devozione alla santa, madre della Madre di Dio. Nel 1728 il cardinale Pietro Marcellino Corradini - che dalla Savelli era stato tenuto a battesimo - lo fece traslare nella chiesa della S. Famiglia, annessa alla casa madre della congregazione delle Convittrici della S. Famiglia (oggi Conservatorio “Corradini”). Un’esperienza cristiana, quella di Caterina, che si presenta con una sua singolarità: essa visse nel mondo, secondo lo stato di vita dei laici, ma vi visse da consacrata, avendo fatto voto, nelle mani del suo confessore, di osservare i consigli evangelici della povertà, castità e obbedienza; precorreva così, nel XVII secolo, tutte quelle forme di laicità consacrata che si sono affermate nel corso del nostro secolo e rappresentano oggi uno dei frutti più ricchi dell’ecclesiologia di comunione vitalizzata dal Concilio Vaticano II.
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