La cattedrale di S. Maria


Le origini della basilica cattedrale di Sezze sembrano risalire al III secolo.

Nel corso del tempo, su quello originario sono stati costruiti almeno altri tre corpi di fabbrica finchè, durante il pontificato di Urbano V (1362-1370), il visitatore apostolico Pierre le Chartier emanò delle disposizioni che prescrivevano di restaurare le mura dell’edificio rovinate da un incendio. Così ristrutturata, la chiesa venne dedicata il 18 agosto 1364 dal Frate minore Giovanni da Sora, «episcopus Terracinensis et Setinus» (1362-1369) «in honorem Deiparae Virginis Annunciatae».
I restauri promossi nel XVI secolo dal vescovo Luca Cardino (1582-1594) e l’ultimo, eseguito negli anni 1968-1972 a cura della Soprintendenza ai beni artistici del Lazio, hanno alterato sensibilmente la magnifica struttura gotico-cistercense della cattedrale di Sezze, che  - nell’attuale assetto -  coincide praticamente con l’edificio realizzato nel XIII secolo con l’innegabile apporto di maestranze provenienti dal cantiere abbaziale di Fossanova, addossato alla primitiva abside romanica.

I lavori promossi con notevole sforzo finanziario dal Capitolo dei canonici nel 1926 avevano invece liberato la struttura da manomissioni settecentesche.

A causa del capovolgimento del suo orientamento originario, la chiesa madre di Sezze si presenta in maniera alquanto singolare e vanta un curioso primato: è l’unica cattedrale al mondo con l’ingresso ricavato dalla primitiva abside. La curiosa trasformazione risale alla fine del XVI secolo, durante i lavori promossi dal già ricordato vescovo Cardino, allorché nella struttura semicircolare posta nel fondo della navata centrale venne aperto un largo portale, mentre dall’ingresso fu ricavato un più ampio transetto con una nuova abside rettangolare. Questa profonda ridefinizione degli spazi, se è stata poco rispettosa dell’architettura originaria, era però dettata da nuove esigenze create da un sostanzioso incremento demografico della popolazione e quindi della comunità cristiana, in una città che, di fatto, da qualche decennio era divenuta sede del vescovo della diocesi.

Benché rovesciata, nel suo interno la chiesa ha conservato in modo soddisfacente la sua fisionomia, caratterizzata dalla ripartizione in tre navate, quella centrale notevolmente più ampia e più alta  - circa il doppio -  rispetto alle due laterali. La divisione tra le navate è ottenuta da due file di sette pilastri in robusti blocchi di calcare locale; questi elementi portanti non sono tutti uguali tra loro: ad alcuni è infatti addossata una semicolonna, altri, invece, sono caratterizzati da lesene che  - assecondando una tipologia architettonica di chiara matrice cistercense -  si arrestano a circa tre metri dal suolo con terminazioni a cono rovesciato, recanti elementi diversi e curiosissimi: volti umani, croci di diversa fattura, scimmie, fiori… Tutte le lesene sono sormontate da capitelli. I pilastri determinano otto campate che insistono su archi a sesto acuto; la copertura della navata centrale è quindi scandita da un numero corrispondente di piccole vele, a differenza di quella delle navate laterali, che è a crociera.

Nell’originario emiciclo absidale  - l’attuale ingresso, sovrastato da un poderoso campanile di forma quadrangolare -  si apre una lunga  e stretta finestra profondamente strombata. Esternamente, la cornice superiore dell’abside è arricchita da finissimi dentelli, anch’essi ricchi di curiose e varie decorazioni costituite da teste di piccole scimmie, croci di varie forme, volti umani.

L’interno della cattedrale di S. Maria è caratterizzato dal baldacchino ligneo che sovrasta l’altare maggiore basilicale: opera, insieme alla statua del patrono san Lidano d’Antena, dello scultore francese Jean Poiret di Nancy (1672), ripete il più celebre modello dell’altare papale della basilica di S. Pietro in Vaticano.

Nel battistero, ricostruito sull’area di un edificio più antico originariamente indipendente dall’attuale chiesa ma ad essa attiguo, si può ammirare un tabernacolo marmoreo per gli oli santi attribuito allo scultore setino Paolo Romano (XV secolo); nello stesso luogo si trovano i resti dell’antico ambone della cattedrale romanica e la grande vasca battesimale, che fino al 1902 è servita per la celebrazione del battesimo di tutte le parrocchie della città.

Tra le opere di maggior pregio artistico va ricordata l’icone del Cristo Salvatore, una delle pochissime opere datate e firmate da Giovanni da Gaeta che la realizzò nel 1472, la grande tela della Madonna degli orfani di Bentivegna (1602), il più recente bassorilievo della Stimmatizzazione di S. Carlo da Sezze ed il paliotto marmoreo della Cena di Emmaus, entrambi di L. Venturini (1962): opere, queste ultime, commissionate dal vescovo diocesano Emilio Pizzoni (1951-1966), che intese così “ringraziare” san Carlo da Sezze  - canonizzato nel 1959 -  dello “scampato pericolo” del suo trasferimento alla difficile diocesi di Gorizia.

Interessanti, sul presbiterio, i resti di un mosaico a tessere colorate di epoca romana, che determinano un disegno geometrico di una certa eleganza; insieme alle possenti strutture di probabile opera poligonale rintracciate in questi ultimi anni al di sotto del Palazzo dei canonici, sembrano denunziare la presenza in loco di un edificio molto antico, probabilmente avente funzioni pubbliche e comunque collegato in qualche maniera con l’ancor ottimamente conservata Posterula, un ingresso secondario aperto nella cinta muraria di Sezze su cui si addossano pure parte delle strutture della cattedrale.

Oltre al corpo del patrono san Lidano d’Antena (1026-1118), nella chiesa madre di Sezze si conserva anche san Leonzio, un martire dei primi secoli del cristianesimo, e le reliquie  - traslatevi nel 1999 -  del venerabile fr. Bonifacio da Sezze (1747-1799).

Con un decreto della Congregazione dei vescovi del 30 settembre 1986 la cattedrale di S. Maria  - già decorata, da Benedetto XIII (1724-1730) del titolo di basilica, distinzione rinnovata nel 1808 dal Capitolo lateranense -  ha assunto il titolo di concattedrale.

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